black dog wroteAlcuni dei principi che tuttora ritengo non negoziabili li ho senz'altro acquisiti dopo essere stato (grazie ai miei genitori) al campo di Dachau, quando non ero ancora maggiorenne.
Ad Auschwitz prima o poi andrò e il vostro metodo, quello dell'avvicinamento graduale cioè, è anche quello che reputo migliore, anche se nel mio caso probabilmente sarà il meno praticabile. Ma tant'è.
Seguirò con interesse questa discussione (che mi auguro venga messa in evidenza).
Che bravi i tuoi genitori. Da ammirare.
Quanto al nostro "metodo", come dici tu: in effetti non è un aspetto secondario. Quando, anni fa, cominciai a maturare la decisione di visitare quei posti, mi ponevo il problema del "come" arrivarci. Perché al giorno d'oggi è inevitabile che persone comuni come noi viaggino nei giorni di ferie e debbano adottare i comportamenti del turista: regole, orari, bagagli, soste negli hotel e nei ristoranti... Ma si può visitare un luogo come Auschwitz come si visitano, poniamo, Firenze e la Galleria degli Uffizi? Ma so per certo che vi sono masse di persone che lo visitano come se andassero a Gardaland, e si fanno i selfie tutti sorridenti mentre sgranocchiano un panino davanti allo "Arbeit macht frei" che campeggia all'entrata del lager.
Ora, anche noi, pur con tutto il rispetto che sapremo osservare verso la memoria dell'immane catastrofe rappresentata dai campi di sterminio, non saremo turisti anche noi? Credo proprio di sì. E credo che l'unico "metodo" non indecente per mettersi in viaggio verso quei luoghi sia a piedi, con uno zainetto sulle spalle e un sacco a pelo per la notte.
Avrei potuto (e dovuto) farlo da ragazzo, quando mi sarebbe stato possibile. Però a cinquant'anni suonati ho scoperto la motocicletta, che non sarà come andare a piedi, ma è un po' come andare a dorso di mulo (soprattutto se si va in Bullet 😉 ) e costituirà, mi auguro, un non indecoroso compromesso.